sabato 7 febbraio 2015

Parlare male di Zerocalcare

Le chiacchiere, a Zero
Gira che ti rigira la critica fumettistica facente funzione pare poco seria o poco informata o pronta a giudicare senza manco leggere o in buona sostanza riducibile ai due opposti estremismi del rosicone o del prezzolato. Da queste parti, seguiamo la regola molto old school del silenzio dissenso, quella sì scuola Linus dei bei tempi: non si parla mai dei fumetti che non piacciono.
Fra i conti aperti, in controtendenza, Zerocalcare. Vero è che ho il limite di non capire e non bazzicare volentierissimo il fumetto non fumetto e che per cartoni e merendine giapponesi sono un tantino fuori tempo massimo. Vero è che fra la sovraesposizione e l'inflazione il passo e breve. Vero è che ogni buona critica deve (dovrebbe) prescindere dal superamento di un pregiudizio, e quando non c'è verso meglio lasciar perdere. Vero è che Michele Rech prospera (soprattutto) su lettori che i comics li bazzicano poco, quindi mi toccherebbe uscire dalla mia comfort zone
Ma se io fossi Zerocalcare, non Zero e stop, per il pezzo pubblicato oggi da il Venerdì di Repubblica sotto sotto un po' mi incazzerei. 
La cover story non fa onore né al lavoro di Rech per Internazionale né alla persona. Il ritratto dell'artista da giovane di Piero Melati ha il sapore paternalistico superficiale e carezzevole delle indimenticabili imboscate di Libero Quotidiano a proposito del sequestro e della morte di Enzo Baldoni. Il reporter a fumetti come cucciolotto radical chic della buona borghesia salottiera di sinistra, l'Idiot Savant dal cuore d'oro pronto a lasciare Rebbbibbia e saltare in bocca all'ideale pur nella consapevolezza della disgraziata fine di quelli di Charlie Ebdo (sic), quello che sì va be' ci ho la vita mia e frequento i centri sociali ma quando mamma chiama non ce n'è per nessuno, quello che è salito a bordo del treno giusto ma in fondo in fondo ancora non si capacita.
Un altro film rispetto all'autore che personalmente continuo ad apprezzare molto poco per non dire Zero proprio, ma di cui invece apprezzo eccome la volontà recente di mettersi in gioco alla faccia dei propri limiti narrativi per azzardare strade diverse, sicuramente più rischiose ma anche più proficue. Ma per cogliere il passaggio, i fumetti bisogna leggerli spesso, con cognizione di causa, con consapevolezza. Non tenerli lì a prender polvere finché qualche brillo fibrillo non decide di cancellarli usando il Kalashnikov al posto della gomma pane, e serve qualche eroe mediatico da far accomodare nell'anticamera del salotto buono. L'odiato Mourinho, tempo fa, parlava del rumore dei nemici: meglio quello, forse, della simpatia a gettone di chi ti spara in copertina dando la sensazione di stare sul pezzo per portare a casa qualche lettore in più.

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