martedì 26 novembre 2013

Unarecensione

Unacopertina

L'ufficio stampa di Coconino Press/Fandango ha una missione: quella di aprirmi gli occhi su autori che di pancia tendo a sottovalutare. Era capitato qualche tempo fa con Carpinteri. E oggi capita con Gian Alfonso Pacinotti in arte Gipi, caposcuola del graphic novelism minimalista. Un gran talento da acquerellista, il Gipi, e un ancor più rimarchevole talento per le pierre, che l'ha catapultato nel giro di pochi anni da Internazionale a La Repubblica a Cinecittà.
In quei paraggi, tempo addietro, il nostro aveva dichiarato di aver smarrito un po' la vena fumettara. E di mio, avendo leggiucchiato senza troppo trasporto Appunti per una storia di guerra e avendo digerito a fatica ogni singola vignetta di LMVDM - La mia vita disegnata male per le vere o presunte affinità elettive con certe cose disegnate invece benissimo del vecchio Paz, mi sono chiesto: Gliela farò a rinnegare la mia idea preconcetta di Gipi come finto idiot savant della parrocchietta radical-chic?
E sì, a questo giro gliel'ho fatta.
Certo, anche Unastoria echeggia icone e concetti già abbondantemente saccheggiate dall'autore toscano - ombre junghiane, psicologi, psicofarmaci, belligeranze, incomunicabilità, la natura come vuoto e come minaccia, la melanconia come stato di grazia. Ma questo con una lucidità, una sintesi e una sincronia fra testo e disegno da rasentare il sublime. La lenta discesa agli inferi di uno scrittore tormentato dal diario epistolare di uno zio scampato (ma non del tutto) alla Grande guerra procede per flashback paralleli, in una narrazione frammentaria e formalmente spettacolare che rispecchia lo sgretolamento dell'io narrante in una alternanza di splash-page impastate di terre grigie e marroni e bianchi e neri volutamente asettici degni del miglior Jules Feiffer.
Come in passato, il plot in sé è poca roba. Trovarobato minimal-chic, si diceva. Ma le rughe del paesaggio e quelle umane si incrociano e si dipanano con un cuore. un controllo, una autentica volontà di potenza da spazzar via ogni sospetto di autocompiacimento o semplice paraculaggine. Così, si finisce per perdersi nella fredda bruma esistenziale di Gipi, concludendo la lettura con un percepibile senso di vertigine. E convinti che, in fondo, a pensarci bene, L'uselin de la comare non è poi tutto 'sto cabaret.

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