venerdì 8 febbraio 2013

Lavoro del piffero

Il signor Juan Ramirez prende servizio ogni sabato intorno alle otto del mattino, all'angolo fra la Juan Palomar y Arias e la glorieta di fronte alla Galeria del Calzado.
Io lo so, perché il suono del flauto del signor Juan Ramirez arriva dritto dritto fino al balcone dove in genere mi siedo a scrivere. È un motivetto facile, dal ritmo vagamente ipnotico, un Do-mi-mi-re-do-re-do, che si ripete sempre uguale a se stesso, per ore e ore, a vantaggio di tutti gli automobilisti di passaggio. Quando Il sole comincia a picchiare duro sull'armatura azteca di latta del signor Juan Ramirez, il nostro si siede all'ombra di un ficus, nello spartitraffico accanto al BanBajio, e caccia giù un refresco - in genere, aranciata.
Il signor Juan Ramirez ha sessantatré anni e un bellissmo viso largo color cuoio che il cimiero piumato gli calza come un guanto. Assomiglia stranamente a mio zio Mauro di Macerata, ma in versione india. Fino a dieci anni fa lavorava per una fabbrica di materassi a sud della città. "Poi sono diventato vecchio, e mi hanno lasciato a casa", precisa, la voce sottile affilata dal caldo che trasuda dall'asfalto e dalla stanchezza. Ancora un paio d'anni ad agitare i campanelli sulle cavigliere e fare Do-mi-mi-re-do-re-do, e poi comincerà a percepire una pensione che probabilmente lo obnligherà a replicare il suo show all'infinito, perché lo stato sociale messicano è roba da fame. Non a caso, gli incroci di Guadalajara pullulano di strilloni, venditori di cicche o zucchero filato e gli immancabili lavavetri, che però qui sono in netta minoranza. Gli artisti da strada come il signor Juan Ramirez sono mosche bianche. forse è per questo che gli automobilisti sembrano rispettarli. O forse perché anche nella capitale commerciale del Messico la memoria di un tempo in cui erano tutti più poveri è ancora vivida, e alimenta il rispetto per chi si fa il mazzo per mettere insieme pranzo e cena.
Alle due, quando il sole comincia a martellare le tempie, il signor Juan Ramirez si siede sotto una pianta in pausa pranzo. Un panino e un'aranciata, come si diceva più su. Terminato il pasto, sistema accuratamente il suo costume da nobile azteco in uno zainetto grigio, e si dilegua fra le auto. Lo guardo sciogliersi nel traffico, in abiti borghesi, e penso che nella realtà gli eroi in costume mostrano rughe più marcate che sui fumetti.


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