mercoledì 3 novembre 2010

Uno, Doe, tre


A pagina sessantuno del primo numero della quarta stagione di John Doe ti dici: no, daaai, non possono arrivare a tanto.
A pagina sessantadue ti dici: invece sì che possono.
D'altronde l'approccio al fumetto del Rrobe è esagerato. Come l'aranciata Sanpellegrino. Chi si fosse sintonizzato in questo momento contando su una onesta bonelle vague, può cambiare canale. Chi invece è venuto su a colpi di citazioni a cavallo di format e generi, tongue in cheek e maledettismo di maniera non può mancare. Soprattutto perché il Rrobe ha il gran merito di abbinare a una messe di reference da Bret Easton Ellis a Douglas Adams a Jack Kirby, da Gerald Potterton ad Alan Moore, da Go Nagai a Luciano Lamas una prosa che nel tempo si fa sempre più asciutta, più rarefatta e convincente.
Fin qui, il buono. Il punto debole di questo inizio di stagione sta nei disegni. Non ce ne voglia il volenteroso ma non troppo versatile Riccardo Torti, che paga pegno ai requisiti minimi di sistema della saga più surreale del fumetto italiano ma anche a un lettering brividosello anzichenò: la sufficienza c'è. Ma con John Doe, la tecnica pura conta meno della personalità. E in questa ripartenza la mancanza di visionari come Rosenzweig, Dell'Edera o al limite pure lo stesso Recchioni si sente eccome. E grava come una zavorra su un numero che convince fino in fondo solo quando riesce a prendere il volo. Nel senso più letterale del termine.

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